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Il simpatico orsetto di Walt Disney non esiste

Per qualche articolo parleremo di orsi. È una “scelta obbligata” dato l’enorme interesse mediatico che questi grandi carnivori stanno destando negli ultimi mesi, sia per le tristi vicende di cronaca, sia per la recente uscita del documento Ispra sulla gestione degli orsi problematici. Il casus belli è certamente incentrato sul Trentino, ma non è da sottovalutare anche il recente fronte piemontese, e il tradizionale fronte abruzzese/molisano. È ovvio che nessun individuo sano di mente pretenderebbe mai di dare soluzioni magiche per tutti i contesti e le varie problematiche – agro/zootecniche e sociali – in poche righe, ma di certo mi riprometto di offrire qualche spunto di riflessione e di ragionamento rispetto all’impatto devastante che può avere anche un singolo orso sulla gestione di un alpeggio estivo o di una malga.

Due sottospecie

Prima di tutto è doveroso spendere qualche parola per “inquadrare” il soggetto. Il territorio italiano ha due sottospecie distinte di plantigradi: l’orso bruno europeo (Ursus arctos arctos) e l’orso marsicano (Ursus arctos marsicanus). Il primo è presente sulle Alpi orientali con due popolazioni, localizzate nel Trentino occidentale e nel Friuli orientale a cavallo della Slovenia, complessivamente con almeno un centinaio di esemplari, in aumento numerico e in espansione geografica. Tra il 2019 e il 2020 alcuni esemplari sono stati più volte avvistati, anche tramite fototrappole, nel nord del Piemonte. L’orso marsicano è invece presente sull’Appennino centrale, con una popolazione complessiva di 55-85 esemplari (di cui 45-69 nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise), numericamente forse stazionaria, ma in leggera espansione geografica.

Come è facile dedurre, la presenza di questi grandi carnivori “alpha” ha un ruolo differente a seconda delle prospettive da cui la si analizza. Per qualcuno (i sempre più numerosi “custodi”, tecnici e consulenti vari al soldo dei molti progetti milionari di stampo wilderness) è un enorme business; per altri (la grande massa dei cittadini, che con un approccio disneyano verso madre Natura, si prodigano in raccolte fondi ed eventi pro-wilderness) è un motivo per un’immersione nella natura selvaggia, per staccare dalla routine giornaliera.

Problemi gravi

Sul fronte agro/zootecnico l’esponenziale aumento dei grandi carnivori è una vera e propria catastrofe. Per gli allevatori non c’è solo il danno ingente di avere animali

uccisi e feriti, ma anche il rischio per i cani (conduttori e custodi), anch’essi parte integrante della struttura gestionale di un gregge (e anche essi, cinicamente, costosi e dispendiosi), e per le persone. Le ire di mamma orsa sono uno degli esempi biblici di furia cieca e inarrestabile, contro cui nessuno può nulla, nemmeno armato. Immaginatevi un pastore, che per legge può proteggersi al massimo con un bastone e dei sassi! Se la situazione non fosse tragica, sarebbe comica. 

Conosco personalmente pastori vaganti di pecore bergamasche che hanno “subito” la presenza di un’orsa con i suoi cuccioli proprio nel territorio in cui, coi loro familiari, avevano preso in affitto e gestione una malga per la stagione estiva, per poter svolgere la tanto decantata transumanza verticale (dalla pianura padana alle Alpi, per intenderci) quella che sarebbe, o dovrebbe essere, un tesoro dell’umanità patrocinata e tutelata dall’Unesco. Questi pastori si sono ritrovati “cornuti e mazziati”, e vi spiego sommariamente perchè: dopo aver speso migliaia di euro per pagare l’affitto delle zone pascolative e delle strutture ivi locate (avendo partecipato a una gara di appalto, quindi avendo investito giornate intere in documenti e interminabili giri per uffici), dopo aver speso migliaia di euro per il trasporto via camion dei loro grandi greggi (parliamo di 2.000/4.000 capi, per cui servono parecchi camion rimorchio all’andata e altrettanti al ritorno), dopo aver speso altri denari per le attrezzature minime per la gestione dei greggi in zone non proprio comode (roulotte, reti elettrificate aggiuntive, generatori di corrente e altre attrezzature indispensabili), si sono ritrovati con un’orsa affamata (con a seguito i suoi cuccioli) che ogni giorno veniva a “far la spesa” nel loro gregge. 

E qui i più zelanti diranno: nessun problema, ci sono i sistemi di dissuasione! Perfetto, solo che è ormai acclarato che nemmeno i bunker (modello Castellar) possono tenere un orso bloccato, figuriamoci dei recinti mobili (per quanto elettrificati, a basso voltaggio ovviamente), che sono le uniche “strutture” che possono essere implementate su terreni di proprietà altrui in affitto per qualche mese. È ovvio che non è possibile trasformare centinaia di ettari in bunker a cielo aperto, sia per l’impatto ambientale e paesaggistico, sia per le spese insostenibili.

Pericoloso imprinting

Ma torniamo ai nostri pastori transumanti alle prese con l’orsa e i suoi “pucciosi” orsetti. Esattamente come per i lupi (altri grandi carnivori al vertice della catena alimentare), anche gli orsi, etologicamente parlando, imparano come sopravvivere ed alimentarsi dalle generazioni precedenti. 

Di fatto un’orsa tiene con sé i suoi cuccioli fino all’età di oltre un anno (se i cuccioli sono più di due o l’annata è stata con clima rigido, anche fino ai 2 anni, dato che ovviamente crescono più lentamente di un cucciolo singolo). In questa finestra temporale, com’è ovvio, la madre insegna ai suoi cuccioli come si caccia (come fanno i branchi di lupi coi loro lupacchiotti); è lapalissiano capire che un’orsa e due orsi giovani che “vanno a scuola” di caccia in un gregge di pecore, fanno più danno di un incendio in un campo di grano. Le pecore uccise e ferite sono numerose, e solo una minima parte vengono poi mangiate; ma per il pastore il danno è immane, anche perché, oltre i morti e i feriti, ci sono gli aborti e le ripercussioni sul gregge “scosso” (le pecore dimagriscono, saltano i calori, perdono il latte se sono in lattazione, ecc.). Ulteriore beffa e danno: quando un pastore avvista l’orso, non può far altro che chiamare i forestali, che se va bene arrivano in 1-2 ore, sia per i loro impegni lavorativi, sia perché oggettivamente le malghe sono in zone remote, spesso non servite da strade asfaltate. All’arrivo delle forze dell’ordine, è ormai tardi per salvare gli animali oggetto di attacco, respingendo l’orsa con forti rumori (trombe di segnalazione) o magari con i proiettili di gomma.

Mi permetto una nota etologica, avendo studiato il condizionamento pavloviano: i deterrenti come i forti rumori o i proiettili di gomma, fan più danno che altro, dato che sono efficaci le prime 2-3 volte; non appena finito l’effetto sorpresa, quando l’orso capisce che non sono interventi realmente pericolosi, si innesca il meccanismo della desensibilizzazione allo stimolo negativo, e la deterrenza non ha più effetto, anzi, si creano animali confidenti verso l’Uomo, avendo capito che non hanno nulla da temere anche in sua presenza.

Situazione insostenibile

A questo punto il danno è fatto, ma per il pastore il calvario è appena iniziato. Ci sono animali morti, alcuni feriti e molti dispersi. Quindi altre spese e danni, dato che le carcasse vanno smaltite, e non è gratis, e gli animali feriti vanno curati (e anche le cure veterinarie e i farmaci non li regala nessuno). A questo si aggiungano le ore di lavoro extra, ovviamente non calcolate nei teorici rimborsi che, se si è fortunati, arrivano entro un anno (finchè l’ente preposto ha fondi in cassa ovviamente!), mentre le spese e i mancati guadagni sono immediati.

Capite bene che in uno scenario simile, la situazione è insostenibile, e il pastore vagante non ha scelta se non quella di ricaricare il gregge e riportarlo in pianura, anche se lì, magari, non ha sufficiente pascolo per nutrirsi adeguatamente. Il che porterà quel gregge ad avere per la prossima annata produttiva un numero di agnelli inferiore, e con pesi minori, diventando de facto una passività enorme. La ciliegina sulla torta ce la mettono i proprietari della malga/alpeggio presi in gestione dal suddetto pastore per quella stagione estiva: costoro – a norma di legge – pretendono dal pastore il pagamento del canone di affitto, e una penale perché non ha “mangiato l’erba” ed eseguito quindi la “manutenzione” di quei pascoli per quella stagione.
Capite anche voi che in questa situazione, reale e vissuta da persone vere, non c’è una uscita vincente; è ovvio che con questo tipo di “gestione” dei grandi carnivori, l’unico risultato che si ottiene è l’abbandono delle zone montane all’incolto e a quella re-wilding selvaggia e rapace di cui abbiamo già parlato in altri articoli.

Articolo pubblicato sulla rivista Allevatori Top n. 02 di marzo 2021.

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Published inAllevatori TopFauna selvaticaGrandi carnivoriOrso

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