Abbiamo parlato qualche mese fa dei numerosi e indubbi vantaggi dell’utilizzo dell’incrocio da produzione industriale nell’ambito della zootecnia professionale (vedi Allevatori Top n 4-2020, pag 54-58: ndR). Se all’estero – principalmente nei Paesi anglosassoni – esiste una vera e propria cultura e tradizione in merito alle “mule”, da noi sembra che questo magnifico strumento produttivo sia caduto nel dimenticatoio, almeno in ambito ovino. Anzi, a sentire ciò che afferma la stragrande maggioranza dei colleghi allevatori ovini, e guardando nei fatti la composizione dei greggi da carne italiani, sembra che il meticciamento possa avvenire solo casualmente, senza una pianificazione scientifica alle spalle, ovviamente senza alcun investimento economico e di conseguenza senza grandi risultati. La realtà storica è che l’uso delle fattrici meticce è un sistema praticato da sempre, ma nelle ultime decadi il settore ovino da carne italiano ha subito un’involuzione ed una stasi tecnica e professionale che ha dell’incredibile.
Mi rendo conto di far la parte del profeta pazzo o dell’eretico, eppure ho potuto verificare la veridicità delle mie affermazioni in svariati – e datati – testi tecnici di zootecnia ovina, alcuni dei quali ho la fortuna di possedere nella mia biblioteca personale. Ecco a voi qualche dato – e qualche foto – direttamente da una di queste preziose e rare reliquie storico/tecniche, dal titolo: “La pecora Suffolk ed una prova d’incrocio con pecore di tipo bergamasco”.
Prove datate
Un primo ragionamento sul titolo: ovviamente si parla di F1 da carne, ma il fatto stesso di utilizzare da un lato soggetti selezionati (i terminali suffolk) e dall’altro delle generiche fattrici di “tipo” bergamasco, rischia di inficiare molti degli effetti positivi apportati dal vigore ibrido, che si focalizza sul concetto che più selezionate, pure ed omogenee sono le due linee genetiche (maschile e femminile) utilizzate nell’incrocio, migliori saranno le doti sommative nella prole meticcia.
La definizione “pecore di tipo bergamasco” presuppone che la linea femminile non era assolutamente “pura” ed omogenea… oggi possiamo fare di meglio con pecore bergamasche pure e in selezione, che vantano pedigree lunghi ed antenati verificati da molte generazioni consecutive, non meno dei soggetti Suffolk attualmente presenti sul suolo italiano.
Tornando al libro in questione: senza dilungarci troppo sulle ormai rinomate doti e qualità della razza Suffolk, il testo parla di prove di incrocio fatte a Ravenna dal 1930 al 1933, con qualche capo Suffolk selezionato e delle pecore di tipo bergamasco; quel che viene dimostrato è che gli F1 di questo tipo di incrocio, a parità di condizioni di allevamento e di età al macello, diedero rese del 44% maggiori dei soggetti non meticciati. Se è vero – come è vero – che i numeri su cui fu svolto il test erano ridotti, e quindi la validità della statistica è relativa, è anche oggettivo che le medie di peso dei soggetti puri di pecora bergamasca attuale sono decisamente migliorate dal 1930; un netto miglioramento delle rese è un dato importante, anche se fosse solo della metà di quanto dimostrato negli anni ’30.
Un ottimo incrocio
Considerando i miglioramenti produttivi che la selezione genetica ha fatto dai primi anni del ’900 ad oggi, sia sul fronte inglese che su quello italiano, e considerando le statistiche attuali di pesi e rese delle attuali due razze, sarebbe veramente miope non spendere pochi minuti per valutare adeguatamente questo tipo di incrocio e le sue doti, nel caso in cui si è interessati a produrre carne ovina. Avere agnelloni pronti per il macello con qualche mese di anticipo rispetto alla media dei tempi normalmente necessari per raggiungere le stesse pesate è indubbiamente fonte di profitto netto. Farò un esempio concreto per far meglio capire ciò che intendo: un agnello da macello di una razza italiana, allevato in purezza, ci mette in media dai 5 ai 9 mesi per raggiungere il peso vivo di 45 kg (che è la pezzatura ideale richiesta dai macellai e dai grossisti per la grande distribuzione).
Utilizzando fattrici di pecora Bergamasca “doc” con montoni terminali Suffolk ben conformati, si riesce a raggiungere quel peso ai 100 giorni; non solo, come tutti sappiamo, più è precoce la data di macello degli agnelli, maggiore è in proporzione la resa. Sommando anche solo questi due fattori, è ovvio capire quanto sia profittevole questo tipo di incrocio.
Frugale ed efficiente
Venendo alla Bergamasca dei nostri giorni, è una delle pecore con il migliore indice di conversione, e ha un palato simile a quello delle capre, contrariamente a quel che succede con razze tipo la Suffolk che pretende pascoli estremamente nutrienti e “puliti”. In buona sostanza qualsiasi tipo di pascolo è congeniale ad un capo di razza Bergamasca, che infatti non disdegna praticamente alcun tipo di essenza (fino ai rovi e alle ortiche), e riesce ugualmente a metabolizzare efficientemente in ogni condizione.
Contrariamente alla maggioranza delle razze pregiate da carne nord europee, la Bergamasca non gradisce a livello metabolico mangimi raffinati o pellettati, ed anche quando viene ingrassata in stalla, la quantità e il tipo di dieta è quantitativamente inferiore ad una corrispettiva pecora da carne, e la percentuale di proteine di cui necessita è molto inferiore a quella che richiedono altre pecore (tipo Suffolk o Texel o Charollais ad esempio).
A questo calcolo aritmetico di pesi e rese, aggiungiamo altri fattori importanti per chi gestisce un gregge: meno tempo devi mantenere gli animali, meno spendi e meno rischi (incidenti di vario genere e malattie), ed oltre a questo, una fattrice poliestrale che, contrariamente alle razze estere, partorisce tre volte in due anni, permettendole di allattare per un periodo inferiore, recupera prima peso ed energie ed è quindi pronta nei mesi successivi a sostenere un’altra gravidanza.
Facilità di parto
La differente tipologia di muscolo della Bergamasca rispetto alle più note razze estere sopracitate, è l’ennesima garanzia di facilità al parto, dato che la dilatazione pre-parto è nelle fattrici bergamasche molto maggiore e più facile che nelle altre razze; non è infrequente assistere a parti di primipare con agnelli di oltre 5 kg di peso, senza problemi di sorta né prima né dopo (senza complicazioni e prolassi, per capirsi). Per dare un esempio comprensibile: il tempo medio di parto di una Suffolk è circa 1 o 2 ore, quello di una Bergamasca è di 15-30 minuti.
L’ideale per la Bergamasca è il pascolamento, durante tutto l’anno, e la vita all’aperto piuttosto che in stalla; da qui un’altra carta vincente se la si gestisce allo stato brado o semibrado in pascoli non pregiati o addirittura in zone marginali, non adatte alle coltivazioni o per pascolare bovini. (R.M.)
Terminali Suffolk
È giusto spendere anche qualche parola rispetto ai montoni terminali Suffolk: mediamente e statisticamente un riproduttore Suffolk è più delicato rispetto ad un montone proveniente da un gregge vagante. La pregiata razza scozzese ha nei piedi e nell’apparato urinario i suoi due principali talloni d’Achille, a cui si assommano una maggiore necessità alimentare e di integrazione, ed una minore resistenza alle parassitosi e ai patogeni in generale. Tutti “difetti” correlati direttamente all’iper-selezione che ha portato con sé la ricerca di soggetti sempre più performan- ti sotto il punto di vista del peso e delle masse muscolari.
È anche logico capire che seguire con maggiore attenzione e riguardo un numero ridotto di montoni all’interno di un gregge numeroso è indubbiamente fattibile con sforzi relativi e impegno economico ridotto.
Se le idee contenute nell’abstract di questo libretto vi hanno stuzzicato, fatecelo sapere e magari vi forniremo qualche altro spunto interessante da uno dei tanti libri-reliquia che abbiamo nella nostra libreria.
Articolo pubblicato sulla rivista Allevatori Top n. 07 di settembre 2020.
Photo by Archivio Fotografico di Etologetica
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