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Alla scoperta del Pastore della Sila

In questo articolo parleremo di una razza canina italiana che sembra stia avendo finalmente il giusto riconoscimento dopo anni in cui la sua stessa esistenza è stata in discussione e a serio rischio. La storia recente del cane Pastore della Sila dimostra in modo tangibile quanto la conservazione delle razze autoctone possa diventare un tassello fondamentale in alcuni scacchieri, proprio per aiutare habitat e tradizioni pastorali a perdurare nel tempo all’unisono con la salvaguardia delle razze e delle specie da reddito che li hanno “generati” nelle epoche passate. Oggi più che mai, in tante regioni della nostra bella Italia, stiamo assistendo a un “nuovo interesse” verso il bestiame locale in quanto origine di materie prime di altissima qualità, indispensabili alla produzione di eccellenze alimentari da esse derivate: pensiamo ai molti formaggi “unici” di piccole valli o a insaccati tipici ottenuti con carni dalle caratteristiche organolettiche “superiori”.

Spesso la sopravvivenza stessa di queste aree svantaggiate, di difficile gestione anche logistica rispetto alle zone di pianura, è legata a doppio filo con la presenza nelle stesse zone di razze poco conosciute e a popolazione (ormai) estremamente ridotta, o addirittura a rischio di estinzione. L’esistenza stessa di questo genere di “reliquie viventi” rende il territorio italiano un vero e proprio percorso, tipo mappa del tesoro, da esplorare passo passo per raccogliere i vari frammenti del mosaico che costituiscono, dopo i beni artistici, il nostro più prezioso tesoro nazionale: la biodiversità. Questo inestimabile Bene è declinato in primis nelle variegate forme di vita animali e vegetali, selvatiche e domestiche, e di conseguenza nei pregiati prodotti agro-alimentari che le tradizioni locali ne hanno creato nei secoli.

Antiche origini

Il cane da Pastore della Sila (o pastore silano) è un’antica razza autoctona calabrese insediatasi nell’area dell’attuale Calabria e giunta nel Mediterraneo da millenni, a seguito delle mandrie e greggi che le popolazioni pastorali erranti portarono con sé quando colonizzarono questi aspri ma fecondi territori. Antonio Guzzi, autore del libro “Il cane da pastore calabrese”, individua le origini della razza nei ceppi presenti nella Magna Grecia sommati “a quelli provenienti dai Balcani, dall’Austria, dall’ex Jugoslavia e finanche dalla pianura pannonica, per opera degli illiri, proposero e garantirono il materiale più idoneo e meglio associabile per forgiare un grande cane da pastore custode”. Nel 1906 il Pastore della Sila viene citato dallo storico naturalista Armando Lucifero, che nel suo saggio scientifico “Mammalia Calabra”, così lo descrive: “alto di statura quasi quanto un Terranova, ha il pelo lungo e appena ondulato, coda fioccata, muso aguzzo, orecchie corte ma penzolanti, mantello bruno-fulvo uniforme nella parte superiore e biancastro in quella inferiore che talvolta si tramuta in bianco…”. Nel 1918 Conrand Keller dell’Università di Friburgo, ci dice che “Nelle montagne della Calabria vive ancora oggi un grande cane da pastore dal manto fulvo o nero, o grigio, il quale verosimilmente deve la sua origine ad un incrocio tra il molosso e il cane da pastore comune e deve essere considerato come un relitto dei tempi passati, giacchè lo ritroviamo raffigurato nell’antichità”.

Bando ai campanilismi (e alla cattiva gestione)

Meglio abruzzese o meglio silano? La risposta che in tutta coscienza mi sento di dare è: “meglio un cane equilibrato con una corretta selezione genetica alle spalle, un giusto imprinting, e un’adeguata gestione”. Ergo viva il cane equilibrato e sano, e finiamola col campanilismo pro questo e contro quello che ha l’unica sua ragion d’essere nella voglia/necessità di vendere più cani degli altri. È purtroppo vero che negli ultimi 15 anni abbondanti sono stati “spediti al Nord” quasi solo cani bianchi con evidenti tare caratteriali, e questa dinamica mi è stata anche confermata esplicitamente da frasi di basso profilo etico. È altrettanto vero che gli stessi cani di “dubbia qualità” siano anche stati maldestramente gestiti (o non gestiti affatto) da chi non aveva la giusta cultura e tradizione. Questi fattori hanno causato grossi problemi e incidenti anche gravi, ed una lunga serie di abbattimenti da parte di veterinari delle ASL/ATS.

Io stesso dopo brutte esperienze, anche dirette, sono andato personalmente più volte in Abruzzo a scegliermi i cani, ma ancora oggi faccio fatica a sfatare l’aura di negatività e timore legata al mio branco di bianconi. Questa pessima nomea è il prezzo che le “guerre dei poveri” tra allevatori hanno portato sulla schiena di una razza come quella del Pastore Abruzzese, ma dubito che il Silano in quanto razza a se stante sia esente da simili problematiche una volta che i suoi numeri saranno saliti ai livelli dei molti “cani bianchi” presenti al Nord. Cani che per altro sono ormai fortemente meticciati da sangue Patou e di Asia Centrale. Col silano sono e saranno più facili meticciamenti col Ciarplanina e col Pastore del Caucaso, suoi antenati storici, ma non meno mordaci ed aggressivi delle razze poc’anzi citate nel meticciamento col Pastore Abruzzese.

Un consiglio che mi sento in tutta coscienza di dare è quello di prediligere nell’eventuale scelta di un cane da custodia, soggetti provenienti direttamente da linee pastorali rustiche, insomma cani nati da genitori che lavorano nel vero senso della parola, e non che fanno compagnia a quattro pecore/capre allevate per hobby. Ma questo vale per qualsiasi cane da lavoro, perchè è ormai noto che l’epigenetica, abbinata al giusto imprinting e alla socializzazione precoce, sono le carte vincenti per iniziare col piede giusto un cammino che sarà, si spera, lungo, ma certamente impegnativo. (R.M.)

Storia recente

Arrivati agli anni ’50 del secolo scorso fu un appassionato cinofilo e ricercatore, il conte Giovanni Bonatti, ad interessarsi a questa razza, promuovendo la prima opera di selezione iniziata a partire dagli anni ’70 tramite il lavoro di ricerca sul campo del di Ferdinando Sala, che presentò al grande pubblico la razza nel suo articolo dal titolo “Il pecoraio calabrese”. 

Con qualche salto temporale eccoci arrivati ai tempi nostri: siamo nel 2010, quando la dedizione e la caparbietà di Isabella Biafora ha reso possibile il reperimento e il recupero di un cospicuo numero di soggetti di pastore silano uniformi tra di loro, non imparentati e sparsi su gran parte del territorio calabrese. Ho conosciuto Isabella di persona in occasione dell’evento del 2016 “Cani in Guerra” (https://www.vigofarm.it/cani-in-guerra-a-pizzighettone-leto-texas-heeler/), dove lei stessa, assieme a pochi altri allevatori che già “credevano” nel Pastore Silano, aveva portato alcuni dei suoi soggetti, appositamente per promuovere il riconoscimento e la diffusione della razza anche nel Nord Italia. Tramite il duro lavoro di Biafora e del suo team è stato redatto e depositato lo standard presso l’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, ed è stato aperto il Registro Supplementare Aperto (RSA).

Concludo questa carrellata storica con le parole di Paolo Breber che nel suo libro “Il cane da pecora abruzzese” scrive questo del Pastore della Sila: “C’è solo un altro cane pastorale nell’Italia peninsulare che ha pieno diritto allo status di razza e si trova in Calabria. La taglia, la struttura e il pelo sono simile all’Abruzzese, ma il manto è scuro, spesso nero focato”.

Agile e resistente

Il Pastore della Sila è conosciuto in dialetto calabrese come “cani i mandra”; la traduzione letterale è “cane da mandria”, il che lascia capire senza dubbi che sia stato tradizionalmente usato come mandriano, e quali siano stati da sempre i suoi compiti ed anche dedurre alcune delle sue caratteristiche. Personalmente, negli anni della mia infanzia, ho visto i cani silani “a scorta” delle mandrie di vacche Podoliche che pascolavano allo stato brado nelle boscaglie e nei territori montani dell’interno della Calabria (Aspromonte e Sila), ed era evidente quanto questi cani fossero a loro agio in quel contesto, percorrendo senza affaticarsi anche molti chilometri al giorno, in territori impervi e pericolosi, e senza mai perdere d’occhio il bestiame a loro affidato. Il silano è un cane di taglia grande ma non pesante, e rispetto ai parametri cinometrici la razza è classificata come molosso-lupoide. Non di rado la sua straordinaria agilità, sommata alla sua spiccata e innata vigilanza attiva, lo porta ad arrampicarsi su rocce e fin sugli alberi per meglio controllare la situazione da una prospettiva privilegiata. D’altronde, per tener testa alle capre calabresi in Aspromonte e sulla Sila, c’è da essere atletici ed instancabili, come le capre appunto.

Un altro fattore tipico della razza, “preso a prestito” dalle capre (la Nicastrese nello specifico) è la colorazione del manto di questo cane, che varia dal nero al nerofocato, dallo zibellino al fulvo e, come riportato nello standard di razza, “rispecchia, sia nei colori che nell’aspetto, il mantello delle capre autoctone calabresi”, proprio come per il cane abruzzese si è giunti al colore bianco completo per meglio mimetizzarsi in mezzo ai greggi di pecore dal candido lanaggio.

Pacifico ma coraggioso

La razza silana si è sviluppata in una nicchia ecologica e sociale differente da quella del cane abruzzese, il che sotto certi aspetti potrebbe rendere il silano potenzialmente più adatto ad alcuni contesti montani dell’arco alpino, nettamente più frequentato da turisti rispetto a desolate zone dei monti interni della Calabria.

Dai suoi accaniti sostenitori, il silano viene descritto come molto meno aggressivo verso l’uomo rispetto ad altre razze di custodi (in primis il Maremmano Abruzzese), anche se ho conosciuto personalmente un rinomato allevatore di cani custodi (con esperienza in varie razze di questo ambito) che mi ha raccontato una sua personale disavventura finita al pronto soccorso, proprio con un maschio silano adulto appena acquistato, che si è trovato letteralmente “attaccato alla mano” e non riusciva a liberarsene, pur essendo lui un ex giocatore di rugby di oltre 1.90 per più di 100 kg! Per inquadrare correttamente la situazione va detto che l’allevatore in questione era in quel momento un “perfetto estraneo” per il maschio di silano appena arrivato, e che “l’esperto cinofilo”, sicuro della sua esperienza coi cani, non aveva rispettato molto le distanze di sicurezza e la prossemica che il nuovo cane aveva ben fatto capire di pretendere.

Questo per dimostrare che seppur la razza è tendenzialmente descritta come “pacifica verso l’uomo”, se serve, non ha timore di scontrarsi anche con dei “pezzi da 90”. Più che alle doti mitizzate, credo ai “buoni soggetti” in sé, e alla loro corretta gestione, ma saranno gli anni ed i risultati sul campo a dimostrarci le vere doti di questa splendida razza.

Articolo pubblicato sulla rivista Allevatori Top n. 01 di gennaio 2022.

Photo by Archivio Fotografico di Etologetica

Published inAllevatori TopCani guardianiCinofiliaConduttori e guardiani

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