Eccoci arrivati al terzo appuntamento con la nostra analisi critica del documento Ispra sugli orsi in Italia, che auspichiamo sia costruttiva e di aiuto per meglio comprendere le macrodinamiche socio-economiche (e non solo ecologiche ed ecosistemiche) in cui si muovono i grandi predatori.
Il fatto stesso che ci sia un capitolo che si intitola “Limiti delle analisi e interpretazione critica dei risultati” (paragrafo 2.3) dimostra a mio parere che questo documento, per quanto l’unico redatto in merito, sia un colosso dai piedi di argilla.
Ciò che si evince chiaramente a pagina 19 del documento è che per quanto gli studi accademici in ambito ursino si siano protratti anche in Italia per più di qualche decennio, i risultati sono “preliminari, ottenuti tramite procedure di randomizzazione o modellizzazione basate su parametri stimati”, e inoltre “l’attuale modellizzazione non ha tenuto conto degli aspetti geografici”; fondamentalmente i custodi degli orsi chiedono altri soldi e tempo per studiare ulteriormente ed approfondire la questione dato che “allo stato attuale non è possibile delimitare l’area che gli animali potrebbero occupare in futuro”.
“Lenta espansione”
La loro analisi prosegue con l’ammissione che l’espansione della popolazione di orsi in Italia è di fatto lenta e inesorabile, specialmente per ciò che riguarda la linea femminile, per quanto le barriere ecologiche e territoriali avrebbero sulla carta dovuto rendere questo processo virtualmente impossibile.
Spendo due parole sul concetto di “lenta espansione”, che viene definita tale dato che tutte le cifre relative anche ai modelli predittivi applicati sono state arrotondate per difetto e considerate poi al minimo aritmetico dei calcoli: di fatto l’espansione degli orsi sta seguendo le curve di aumento numerico similari dei lupi, che stando alle proiezioni di qualche anno fa di Ispra erano elusivi, schivi e circoscritti a poche zone non densamente antropizzate. Il documento continua ribadendo che i dati Ispra raccolti a tutt’oggi non sono bastanti né validi per ottenere alcun tipo di stima della presenza degli orsi. I custodi degli orsi, con la mole di dati fino ad oggi ottenuta e coi soldi spesi per questa sontuosa raccolta dati, ci stanno dicendo che non sanno nulla di certo, tranne che entro quattro anni il numero degli orsi sarà come minimo raddoppiato, e che l’aumento del numero degli orsi porta con sé, ovviamente, anche l’aumento degli orsi pericolosi e dannosi; gli stessi orsi pericolosi che, per stessa ammissione di Ispra, non hanno ancora capito come gestire. Tutto ciò lo trovate rassicurante, oppure è un concreto campanello di allarme?
Ispra ci dice ancora che i risultati da loro ottenuti indicano che “vi potrà essere un aumento delle interazioni problematiche tra uomo e orso, ma non necessariamente tale aumento avverrà in maniera lineare rispetto al numero di animali”. Anche questa, a mio giudizio, suona come l’ennesima ammissione di incapacità e inutilità ad essere di aiuto a chi vive il concreto problema delle predazioni, mentre enti come Ispra dovrebbero esistere solo a tal fine, e non farsi strumento di fantomatiche associazioni no-profit che di fatto stanno imperando da anni su tutto il territorio nazionale ed europeo. Resta una sola certezza: l’ingente costo sostenuto in consulenze e rimborsi spese per i custodi degli orsi che sono di certo presenti e attivi (per le loro ricerche), ma non risolutivi o di aiuto per gli allevatori e per chi vive nelle zone rurali.
Accademici contro
A pagina 20 del documento, Ispra ci parla di “trend” ottenuti con gli studi di Tenan (2016), Apollonio e Tosi (2011): tutti questi accademici parlano dell’aumento del numero di orsi non solo in varie parti d’Italia, ma anche in altri contesti europei, parlando di “verifica di idoneità del territorio perseguito dallo studio di fattibilità”, dimostrando almeno a parole che l’impatto degli orsi dovrebbe essere adeguatamente valutato.
Nota interessante: Apollonio, citato da Ispra come accreditato riferimento per le stime sull’orso, è l’accademico che, con studi ufficiali, ha calcolato la presenza del lupo in Toscana in circa 1.000 soggetti adulti, mentre altri ricercatori universitari hanno deciso a tavolino che il numero totale di lupi su tutto il territorio nazionale è di 2.000 capi. Misteri degli accademici italiani; per cronaca la riduttiva stima di cui sopra è stata ormai ampiamente sconfessata da molti studi ufficiali pubblicati, sia italiani (ad esempio nel gennaio 2021 da Duccio Berzi) che europei. (R.M.)
Cuccioli dell’anno
Le proiezioni demografiche che Ispra ha pubblicato parlano di espansione territoriale, di popolazione ursina che continua a crescere oltre i 130 soggetti, senza però calcolare i “piccoli dell’anno”. La cronaca degli ultimi mesi ci ha mostrato efficacemente cosa un piccolo dell’anno riesce a combinare quando, assieme ai suoi fratelli e alla madre, entra in una proprietà privata. Per fare il punto sulla situazione “cuccioli dell’anno” vi riporto qualche dato che voi stessi potrete reperire e verificare online. Ad oggi ci sono più di una femmina adulta con 2-4 cuccioli a seguito, e sappiamo che questo genere di “squadrone della morte” sarà così composto almeno per un anno e mezzo. Anche un bambino delle elementari può capire che il numero effettivo di orsi “a far danno” agli allevatori è ben maggiore di 130 soggetti.
Altro dato interessante è che – notizia di qualche settimana fa – è stato trovato un cucciolo di orso sbranato da un maschio adulto, ad indicare che la densità di popolazione attiva sessualmente ha già una pressione tale da portare i maschi a “liberare il campo” per rimandare in calore le femmine e potersi accoppiare con esse.
Se la guardiamo dal lato degli orsi, questa sarebbe di fatto un’ottima notizia per la salute della specie in Italia, peccato che noi non siamo orsi, ma allevatori di bestiame. Coi lupi fecero lo stesso tipo di proiezioni e previsioni: adesso siamo letteralmente “invasi” da branchi di lupi; non solo, ma mentre anni fa il numero di cuccioli per parto era 2-5, oggi siamo a 5-8 (con punte di 11!). Questo per via della migliore alimentazione e della non-concorrenza negli habitat che i grandi carnivori stanno colonizzando. Il branco di lupi medio di oggi conta non meno di 6 esemplari adulti, con punte di 15 registrate in Abruzzo. Per gli orsi, il naturale sviluppo sarà che ovviamente ci saranno più cucciolate, dato l’aumento delle femmine, e che molto probabilmente ogni cucciolata sarà composta da più orsetti, come la cronaca già ci sta confermando.
Effetto inbreeding
L’unico tasto dolente che potrebbe limitare le nascite in modo sensibile, è l’enorme problema di inbreeding che sta letteralmente “uccidendo” l’orso marsicano, per il suo isolamento geografico. Questo aspetto è già stato brillantemente risolto in Trentino con il passaggio, che talvolta ha del “miracoloso”, di orsi dalla Slovenia e dalla Romania. Come abbiamo già assistito alle “magiche migrazioni spontanee” di molti lupi non appenninici in altre regioni italiane, e delle linci che stanno inspiegabilmente migrando anch’esse in Friuli, sempre dalla Romania e dalla Slovenia.
Ma tornando all’orso marsicano, il suo problema di strettissima consanguineità stanno giàprovvedendo a risolverlo, visto che è già girata la proposta di “spostare” gli orsi problematici dal Trentino per portarli in “zone meno antropizzate”, come l’areale dell’orso marsicano; guarda caso, una scelta del genere andrebbe proprio a rinsanguare la popolazione dei marsicani, innescando un processo salutare – per gli orsi ovviamente – di varietà genetica, che ha come principali effetto l’aumento della fertilità, prolificità e taglia dei soggetti. Un sistema già utilizzato fin dagli anni ’80 per “aiutare” i poveri lupetti italiani che erano in pericolo di estinzione. Ma qualche sistema per evitare l’estinzione degli allevatori e dei montanari se lo inventerà qualcuno? Provocazione: noi allevatori potremmo commissionare uno studio di fattibilità ad Ispra per la conservazione e la salvaguardia dell’allevatore italiano rurale. La razza in estinzione – purtroppo – non ci manca, il territorio vocato neppure, ci manca solo di che pagare gli studiosi.
Articolo pubblicato sulla rivista Allevatori Top n. 05 di giugno 2021.
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