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Danni da cinghiali, dobbiamo dire la nostra

In questo articolo cercheremo di fare il punto sulla situazione italiana del cinghiale, sapendo benissimo che inquadrare una “patata bollente” come questa è un obiettivo molto, troppo ambizioso per un singolo articolo e per una singola mente.

Quello che una volta era il Sus scrofa italico, oggi sta inesorabilmente diventando come gli “Hog-Zilla” degli Usa, sulla falsariga di quello che è già successo con il Canis lupus italicus, che ormai di italicus non ha né l’aspetto né il comportamento (questione già ampiamente affrontata su questa stessa rivista). Ma mentre sul fronte Grandi Predatori è plausibile, e a mio parere estremamente probabile anche in base a verifiche genetiche eseguite da più laboratori ed enti europei, che nell’attuale “mischione genetico” del lupo ci sia stato “lo zampino” di animalisti, lupofili di varia provenienza e della lobby del re-wilding, con il cinghiale italiano il comparto venatorio ed agro-zootecnico deve fare un onorevole “mea culpa” e cospargersi il capo di cenere.

Sommatoria sinergica

L’ibridazione tra il “vecchio” ceppo di cinghiali italici e maiali domestici da una parte, e cinghiali centro europei (ungheresi principalmente) dall’altra, è avvenuta a macchia di leopardo in tutta la penisola fin dagli anni ’70 del secolo scorso. Da una parte la scarsa attenzione degli agricoltori che, gestendo allo stato brado o semibrado i loro maiali (Duroc, Large White, danesi, ecc.) per consumo familiare, hanno favorito l’ibridazione casuale, dall’altra l’opera di cacciatori solerti che, volendo prede con pesi maggiori e trofei più appariscenti, non si sono astenuti dall’introduzione “poco limpida” di genetica alloctona. 

La Natura, il progressivo abbandono di amplissimi territori all’incolto, e l’assenza di una vera e concreta pressione predatoria e venatoria ha fatto il resto. Siamo di fronte ad una serie di fenomeno quasi mai visti contemporaneamente: avanzata del degrado urbano incontrollato, abbandono dei territori marginali, dissesto idrogeologico e rimboschimento selvaggio in espansione esponenziale negli ultimi 60 anni. Questa sommatoria sinergica di eventi sta avendo un impatto tremendo e devastante sul settore agro-silvo-pastorale. Chi ne trae vantaggio, ovviamente, è il Selvatico a 360 gradi, declinato nelle sue molte forme, dai grandi predatori, alle prede ungulate, ai nocivi in generale. 

Irresponsabili

Ma quello che non è accettabile, a mio parere, è il comportamento assolutamente irresponsabile di tutte queste cordate radical chic che continuano a difendere l’indifendibile (vedi box, punti 5 e 6). Questa completa noncuranza per i beni privati e nemmeno per l’incolumità fisica delle persone – ci sono stati durante questi anni moltissimi incidenti automobilistici causati da cinghiali, alcuni dei quali anche mortali – è un indice di un degrado sociale che a mio avviso ha dell’incredibile. 

Personalmente, nel caso in cui dovessi scegliere se salvare un umano o un animale, non avrei molti dubbi, per quanto io – ci tengo a sottolinearlo – ami e adori tutte le forme di vita. Del resto nessuno ama di più la Natura di chi sceglie di viverci immerso dentro per 365 giorni all’anno; e solo chi riesce a trovare una simbiosi con la Natura è in grado di sopravvivere “in essa” e salvaguardarne, se non migliorarne, la condizione.

Bene dello Stato

A mio avviso ha poco senso, nel 2021, continuare a riportare dati a testimonianza delle gravi problematiche che il Selvatico sta causando all’agricoltura e all’allevamento: a questo fine basta leggere le statistiche dei danni che ogni distretto regionale pubblica per poter calcolare in soldoni il danno che ne deriva, danno per altro, tutto a carico degli allevatori ed agricoltori (vedi box, punti 2 e 7). Se, infatti, i predatori sono un problema primario per chi alleva, la devastazione dei terreni e delle strutture fondiarie causate dalla presenza attiva di branchi di suini lo sono per chi coltiva: pensiamo al danno costante che cinghiali, caprioli ed altri ungulati stanno portando alle varie colture, o quello che le nutrie stanno facendo nelle risaie.

Il problema di base è molto serio e squisitamente tecnico-legale: “La selvaggina è un bene indisponibile dello Stato”, che ne controlla e gestisce tutti gli aspetti, dalla gestione ordinaria, al contenimento, fino all’abbattimento in casi estremi. Lo Stato è quindi unico proprietario e responsabile anche dei danni che questo suo bene esercita ai cittadini.

Purtroppo quest’ultimo concetto sembra non venir percepito dai legislatori, che puntualmente lasciano ad allevatori ed agricoltori l’onere economico di dover “subire” le incursioni nelle loro aziende agricole. 

Le risorse economiche aggiuntive per “tentare di prevenire” sono spesso insufficienti, e le strategie di prevenzione si basano su progettazioni e parametri puramente teorici e non sono sempre applicabili adeguatamente nei vari contesti locali. Per non parlare dei mancati guadagni e delle ripetute spese di risemina dopo il passaggio dei suini in branco: se avete mai visto un campo di erba medica appena seminata o un campo di patate o mais dopo una “notte brava” di “un’allegra famiglia di cinghiali”, capite di cosa parlo.

A proposito di prevenzione

Tutto il mondo ci invidia il nostro magnifico territorio (declinato in centinaia di habitat unici e maestosi), che incorniciano degnamente l’enorme messe artistica di cui l’Italia è stata culla da sempre. L’enorme abbondanza di biodiversità (animale e vegetale, selvatica e domestica) ci ha permesso di essere, anche nell’agro-alimentare, un Paese guida per il mondo intero. In questo scenario, sembra paradossale che proprio la “risorsa” selvatico sia diventata il grimaldello con cui le sopra menzionate lobby radical chic stanno di fatto espropriando interi territori alle genti che li hanno creati e preservati per millenni; questo atto di forza va assolutamente fermato quanto prima, per evitare che l’ovvio dissenso delle popolazioni delle zone rurali svantaggiate si trasformi in quella rabbia e rivolta, tipica delle gente di montagna fin da epoche remote come quella romana.

Le aree marginali montane, per loro stessa natura svantaggiate rispetto alle prospere zone di pianura, sono i territori elettivi delle piccole aziende agricole (spesso zootecniche) a conduzione familiare. In queste numerose realtà agro-rurali svantaggiate, gli elevati costi delle misure di prevenzione verrebbero ad incidere troppo in rapporto ai profitti dell’azienda stessa, rendendo insostenibile la situazione; anche se queste misure fossero la panacea di ogni problema causato dalla pressione del selvatico (mentre sappiamo essere unicamente soluzioni palliative!), rappresentano “la goccia che fa traboccare il vaso” a livello di bilanci di fine anno. Oltre tutto queste realtà produttive di nicchia sono già alle prese con il problema del cambio climatico, che sta peggiorando la gestione e le rese economiche in modo considerevole.

Cronaca di un disastro

Qui di seguito propongo una mini-rassegna stampa di notizie provenienti da varie regioni, relative solo agli ultimi 3 mesi dell’anno 2020:

1. Cinghiale da record nel Vastese: 225 chilogrammi alla bilancia (26 ottobre 2020)
2. Cinghiali: Confagri, riprendere caccia, rischio peste suina. Pericolo di diffusione, in Germania già 117 casi (Ansa, Torino, 11 novembre 2020)
3. Dieci cinghiali a spasso sull’autostrada Asti-Cuneo, la foto solleva polemiche e ironie. Lo scatto solleva le ire di automobilisti: “Sicurezza a rischio”. E gli agricoltori tornano a chiedere campagne per ridurre gli ungulati (18 novembre 2020)
4. Cinghiali nel Parco dei Colli. La LAV: “Niente caccia, la soluzione è sterilizzarli” (redazione Bergamonews, 5 dicembre 2020)
5. Manifestazione statica a Roma – “Giustizia per i cinghiali” (19 ottobre 2020)
6. Giustizia per i cinghiali – Le riflessioni di Riccardo Manca di Animalisti Italiani (25 ottobre 2020)
7. Cinghiali, arrivano i dati dell’ATC: in un anno quasi raddoppiati i danni (La Nuova Provincia, 30 novembre 2020)
8. Il cinghiale è cibo biologico: bando Gal per attivare filiera di carne selvatica (LeEco dell’Alto Molise, 9 nov 2020)

Nota finale

Al punto 8 del soprastante box è indicato quello che può essere, forse, uno “spiraglio di luce” in un panorama veramente fosco e tetro. Ma anche qui bisogna vedere che questa “potenzialità” di mercato non vada anch’essa a danno degli allevatori: finchè la normativa autorizza un conduttore di fondi agricoli ad esercitare la caccia sui propri terreni solo se provvisto di regolare licenza, temo che gli unici attori “passivi” della partita resteranno gli allevatori.

Articolo pubblicato sulla rivista Allevatori Top n. 01 di febbraio 2021.

Image by vladimircech on Freepik

Published inAllevatori TopFauna selvaticaSelvatici

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