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Ovinicoltura da carne, facciamo un po’ di autocritica

Sugli scorsi numeri di Allevatori Top abbiamo parlato del settore ovino da carne evidenziando quelle che sono, a mio parere, le attuali limitazioni e i “bug del sistema”; abbiamo inoltre dato un occhio al passato e una sbirciata alle cause socioeconomiche e storiche che lo hanno reso quello che è oggi. Qualcuno dei problemi è in capo alle associazioni di settore, altri al “sistema Italia”, altri ancora li possiamo imputare alla “matrigna Europa”, ma in quanto allevatori dobbiamo anche essere onesti e rivolgere lo stesso tipo di sguardo indagatore verso noi stessi… e qui son dolori.

In questo articolo farò alcuni esempi di responsabilità direttamente correlate alle scelte fatte dagli allevatori in prima persona. Alcune di queste sono promanazioni del modus agendi “tradizionale” dei pastori, altre sono dinamiche nuove –ma non meno deleterie – scaturite un po’ dall’ingegno italico e dalla necessità di adattarsi per sopravvivere, un po’ dalla disonestà.

Frodi e bidoni

Quando, circa 8 anni fa, ho iniziato a focalizzare i miei studi e la mia attività sul settore ovino per poi “viverci dentro”, non avevo la minima idea di quanta gente in Italia vi sia direttamente o collateralmente coinvolta. Siamo tanti, ma purtroppo male organizzati, o meglio disorganizzati. Quel che ho – mio malgrado – constatato è che ancora oggi, nel 2020, sono rimaste ben salde alcune pessime tendenze. Se riuscire a valorizzare i propri capi è corretto, vendere un prodotto per un altro è a tutti gli effetti una frode commerciale. Il più classico esempio è la penosa situazione di molte razze estere importate: quasi 10 anni fa cercavo dei capi di pecora Suffolk in selezione, e in Italia non trovavo soggetti con le debite caratteristiche morfologiche e documentali; allora contattai via e-mail uno dei più grossi centri di selezione ovina francesi, che mi diede il numero telefonico del suo referente italiano. Quel che questo signore mi disse, in modo diretto ed esplicito fu abbastanza disarmante, e lo cito testualmente: “La Suffolk in Italia è sputtanata!”. Non mi arresi e cercai capi dignitosi tramite altri canali. La problematica era quella che già avevo intuito: troppi “allevatori” italiani spacciavano dei meticci per soggetti puri, con le ovvie, deleterie conseguenze per la popolazione italiana della razza suddetta (ma lo stesso, purtroppo, vale per tutte le altre razze estere selezionate). Ma questa è un’altra storia, la cui morale però resta valida: alcuni connazionali “traffichini” tirano bidoni da decine di anni.

Vecchi trucchetti

Passiamo a un altro aspetto della questione: portare i propri capi al peso ideale di macellazione è un’arte (e una volta la figura dell’ingrassatore aveva tutta una sua nicchia e utilità), ma farlo utilizzando sostanze illegali è un reato. Alcuni vecchi trucchetti, poi, non sono mai passati di moda. Come quello di far mangiare poche ore prima del carico alcuni alimenti, spesso molto salati o zuccherati, che fan sì che le pecore bevano molto. Avendo esse in corpo una miscela vegetale che assorbe molta acqua, si ottiene l’effetto di fare prender peso (temporaneamente) a tutti i capi in vista della pesata per il carico al macello. Analogamente somministrare agli agnelli una pietanza da ingrasso per bovini ha l’immediato risultato di far lievitare i pesi, ma come effetto collaterale quello di mandare in tilt il sistema metabolico dell’animale, facendo si che esso assimili tutto come grasso. Il peso aumenta, ma non in modo organico e sostenibile per lo sviluppo armonico del soggetto; il metabolismo di questi agnelli sarà inadatto a sviluppare un rumine funzionante e proporzionale allo sviluppo che l’animale dovrebbe avere in età adulta. Gli animali saranno “tutto testa e pancia” e senza telai su cui mettere i muscoli, e quindi al macello daranno tanto scarto e poca resa. Molti di questi soggetti vengono poi spacciati per “riproduttori”, anche se avranno vita brevissima per tutte le patologie sviluppate nei primi mesi di vita. Nei maschi la questione è anche peggiore, dato che un sistema urinario e dei reni devastati non possono certo lasciare spazio a un apparato riproduttore ottimale, tanto meno a delle performance da razzatore. Ma anche questa è un’altra storia… Diciamo che la linea di demarcazione tra giusta malizia e frode vera e propria è sempre stata molto labile, ma ultimamente questo balletto tra chi compra e chi vende è andato un po’ troppo oltre.

L’onestà paga

A mio parere, gli stessi “fenomeni” che lanciano bidonate dal profondo Sud all’estremo Nord italiano per raccattare due soldi, potrebbero guadagnare le stesse cifre vendendo gli stessi capi nel periodo giusto al prezzo giusto. Per capirci: che senso ha vendere per 500 euro un agnellone Suffolk e una agnella della stessa razza per 300 euro, spacciandoli per riproduttore con pedigree, quando poi non ci sono né documenti né iscrizione ad alcun Libro genealogico?

Le bugie hanno le gambe corte, ed anche il più sprovveduto dei clienti, dopo qualche mese passato nella vana attesa dei richiesti documenti, capisce che cosa è successo. Se il venditore in questione commercializzasse gli stessi animali per la Festa del Sacrificio degli islamici, avrebbe una resa economica quasi identica, senza però aver commesso una frode, e senza quindi compromettere la propria immagine e senza il rischio di rivalsa legale. (R.M.)

Non è solo sfortuna

Nel nostro settore è sempre più pressante la necessità – spesso inderogabile – di spuntare il prezzo migliore per sopravvivere in un mercato globalizzato, dove la concorrenza ben poco etica dei grandi mercanti di bestiame è costante e invasiva. Ormai noi allevatori abbiamo a che fare con certi “loschi figuri”, che appena sentono di una malattia invalidante, di un problema finanziario, di una separazione o di altre “tragedie” simili, arrivano in picchiata come falchi sulla preda, pronti a buttare sul piatto quattro denari e portar via – a prezzo di macello – tutto il lavoro di una vita (e talvolta di generazioni). Alcuni commercianti razzolano perennemente il territorio nazionale, anche per conto dei big della macellazione nazionale ed estera, con rotoli di soldi in tasca, letteralmente alla ricerca di qualche povero allevatore messo alle strette da qualche cartella esattoriale o da qualche sanzione. Quando l’alternativa è tra svendere per chiudere definitivamente battente o chiudere con i debitori addosso, la scelta è spesso molto facile.

Ma se è vero che “la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo”, e che su certi avvenimenti nessuno può avere controllo, è altrettanto vero che su moltissimi altri aspetti (tecnici, normativi, gestionali ecc.) il controllo è possibile. Per chi fa il nostro mestiere è sempre fondamentale calcolare e valutare bene il reale profitto ottenuto da una scelta aziendale in riferimento alle quantità e ai prezzi di uscita, in modo tale da evitare, ad esempio, di ritrovarsi “intasato” di capi all’inizio dell’inverno, e magari non averne quanti servirebbero nel periodo di maggior valore e richiesta.

Come vedete le radici di certi comportamenti non stanno soltanto nella sfortuna, ma anche nella scarsa conoscenza e comprensione, ad esempio, delle dinamiche di mercato e dei prezzi; eppure oggi abbiamo tutti accesso ad un monte di informazioni e conoscenze pressoché illimitato, in qualsiasi ambito della zootecnia (e dello scibile umano).

Fare massa critica

Senza alcuno spunto esterofilo, è tristemente oggettivo che i nostri colleghi allevatori stranieri, pur facendosi la giusta concorrenza ed avendo certamente le loro rivalità, hanno capito che per riuscire ad avere il peso economico necessario a sopravvivere in un mercato globale l’unica soluzione percorribile è quella di strutturarsi per fare massa critica e creare quindi tutte quelle filiere produttive e commerciali che consentiranno al prodotto di ogni allevatore di essere commercializzato con il giusto valore. I rancori e le rivalità, unite alla endemica disorganizzazione tutta italiana, dilagano tra gli allevatori. Questi elementi ostacolano, se non direttamente impediscono, la creazione delle necessarie filiere. Alcuni colleghi, troppi a mio parere, utilizzano questo complesso scenario per giustificare il loro modo di agire scorretto nel momento in cui vendono i loro capi, sia da vita che da macello. 

Articolo pubblicato sulla rivista Allevatori Top n. 08 di ottobre 2020.

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Published inAllevatori TopOvinicolturaZootecnia

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