In questi ultimi mesi noi allevatori stiamo vivendo l’ennesimo paradosso, anche se soltanto alcuni di noi se ne rendono conto consciamente. Leggendo i titoloni di molti giornali e testate online, è tutto un fiorire di “aiuti agli allevatori”, indignazione per le problematiche del settore, movimenti d’opinione a favore della ruralità e slanci di generosi benefattori. Se facciamo ritorno col pensiero agli anni passati fino al 2017, e ricordiamo come era gestita dai mass media e dalle istituzioni la questione lupo, adesso si nota un approccio completamente diverso: si è passati dal negazionismo estremo al buonismo estremo. A sentire il mainstream mediatico, se prima i lupi erano presenti in numero esiguo e non predavano capi domestici, adesso ci sono, sono ovunque, ma sono un valore aggiunto del territorio a livello turistico.
Siamo bombardati da splendide foto di funzionari pubblici di medio/alto livello che visitano le zone delle ultime mattanze di bestiame domestico ad opera dei predatori (lupi in primis), e veniamo tutti avvolti e travolti emotivamente dal caldo abbraccio delle interviste glitterate in cui qualche militante lupista parla serenamente con qualche “allevatore virtuoso”, dal fare sorridente e spigliato, di quanto sia facile la convivenza col lupo, a patto di applicare “pochi semplici presidi”, gli stessi che oggigiorno sono proposti da molte Regioni italiane.
Indennizzi, il caso del Veneto
I prezzi a cui fa riferimento la Regione Veneto per rimborsare un allevatore vittima di predazione derivano dai prezzi rilevati dell’Ismea. La Regione incarica annualmente l’ARAV di stilare quello che viene comunemente chiamato “prezzario”, in cui razza per razza viene fatta una media annuale del prezzo di mercato dei capi da macello e questa media varrà per gli indennizzi dell’anno successivo. Per i capi appartenenti alle razze non presenti sul prezzario, viene dato un valore basato sempre sul mercato della macellazione. Purtroppo è noto che i capi che vanno al macello sono quelli meno pregiati o a fine carriera. Di qui la necessità di prevedere rimborsi più equi; è il caso ad esempio, di chi ha un gregge di soli riproduttori di razza certificati, con tanto di Dna depositato: in caso di predazione il rimborso che gli spetta è la media del valore al macello di quella razza… È inoltre necessaria una valutazione più equa per i capi delle razze in via d’estinzione, per le quali l’allevatore rischia addirittura di dover restituire i contributi regionali perché sul mercato non trova i capi con cui sostituire quelli predati. In tutti questi casi, l’allevatore deve mettere a verbale l’intenzione di inviare i documenti attestanti il superiore valore del capo predato. Attenzione, fa testo unicamente ciò che viene scritto nel verbale: mai firmare verbali compilati a metà ed è necessario essere veloci nel presentare la documentazione, pena non essere indennizzati. (R.M.)
Comunicazione strategica
Si noti come gli allevatori virtuosi siano sempre dei “fighi”, con alle spalle situazioni pressoché idilliache e disponibilità economiche a profusione; di solito allevano per passione e dopo carriere da dirigenti; si sono convertiti all’agricoltura perché annoiati dalla monotonia e del tran tran dei colletti bianchi. Tutti gli altri allevatori, quelli veri, quelli che vivono dei loro greggi/mandrie, vengono di norma intervistati dopo qualche strage ad opera dei predatori, o durante una delle manifestazioni di piazza. E mentre i primi sono sereni e rilassati, i secondi sono in condizioni pessime, anche emotivamente parlando. Il primo tipo di allevatore lascia un “buon ricordo” nella mente del pubblico (bello, spesso giovane, ben vestito magari e sorridente), ma quando tocca pensare al “vero allevatore”, la mente rimanda l’immagine di una persona stanca, arrabbiata, disperata (tanto da giungere alle lacrime), spesso intervistata davanti ai suoi animali dilaniati o morenti, con problemi economici causati sia dai predatori che dalle dinamiche di mercato. Il consenso, alla fine, andrà all’allevatore che ha lasciato un buon ricordo, perché la mente umana preferisce una rassicurante menzogna alla destabilizzante verità. E questo è un aspetto ben noto a pubblicitari ed esperti di marketing.
Iniziative delle Regioni
Ultimamente anche alcune Regioni si sono mosse. Purtroppo quando una Regione redige un ordinamento per stabilire i parametri di una qualche misura cautelativa o di rimborso, tali parametri sono, a mio modo di vedere, stringenti in modo univoco. L’impressione è che i tecnici provengano da scuole di pensiero veg-animaliste, new age e tanto naive, e che comunque non siano allevatori, e non possano dunque capire le reali problematiche del settore. Chi ti “regala” le reti mobili antilupo lo fa con vari accordi di comodato d’uso e di “controlli a sorpresa” in cui poi valuterà il tuo operato.
Guarda caso i controlli vengono fatti da “volontari” lupofili, e ogni volta che c’è una predazione (e si è costretti ad ammettere che gli autori sono stati i lupi) è sempre l’allevatore che ha “mal gestito” il recinto. Facciamo un passo oltre: le reti antilupo non esistono. Quei recinti mobili che ormai tante Regioni propongono come panacea, altro non sono che reti zootecniche per il contenimento del bestiame: esse servono di fatto solo a tenere circoscritto il bestiame, non a tener fuori i predatori.
Oltre al danno la beffa
In abbinata con le reti antilupo, molte Regioni invitano caldamente gli allevatori a munirsi di cani custodi; alcune lo hanno addirittura inserito come requisito per accedere ai rimborsi. Corretto concettualmente, di per sé. Peccato che, soprattutto nei mesi estivi appena trascorsi, sono stati molti i Comuni che hanno legiferato in senso contrario: sull’onda di lamentele di travel agents, albergatori e vacanzieri, sono state pubblicate ordinanze che impediscono agli allevatori di lasciare liberi i cani custodi nei greggi e nelle mandrie perché pericolosi per i turisti; le multe sono già fioccate salatissime.
Ma allora, di che stiamo parlando? Se allevi e non hai tutti i presidi che la tua Regione ha stabilito, non puoi essere indennizzato; se metti le recinzioni e ci muoiono dentro caprioli ed altra selvaggina, la responsabilità è tua; se non hai i cani, non sei in regola, ma se li metti, le multe e le cause legali sono a tuo carico (e onerose); devi tenere i tuoi armenti recintati, ma non puoi recintare i terreni che stai utilizzando – alle volte pagando un affitto – perché i vacanzieri hanno diritto di passare dove vogliono o perché la superficie è talmente ampia da rendere impossibile la recinzione stessa; il cane deve esserci, ma non deve dar noia, quindi va legato, ma se è legato non può fare il suo lavoro e se lasciato libero è molesto per i turisti… Intanto vedi situazioni come quella dell’immagine riportata qui a lato e non sai che dire.
Articolo pubblicato sulla rivista Allevatori Top n. 7 di settembre 2019.
Image by vladimircech on Freepik
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