/con·san·gui·nei·tà/
sostantivo femminile
Dal punto di vista biologico è il fenomeno per cui, nell’ascendenza di un individuo, il numero effettivo dei suoi antenati è inferiore a quello teorico. Un certo grado di c. è in ciascun uomo, perché se ogni persona oggi vivente dovesse avere il numero teorico di antenati che le compete, la popolazione totale della Terra avrebbe dovuto essere, alcuni millenni or sono, molto maggiore dell’attuale, mentre è vero il contrario. Quanto più gli antenati comuni sono prossimi all’individuo, e quanto maggiore è il loro numero nella scala degli ascendenti, più alto è il grado di consanguineità.
La c. favorisce la formazione d’individui omozigoti; gli omozigoti per un gene raro recessivo si originano, la maggior parte delle volte, da matrimoni fra consanguinei, in cui i due individui hanno una maggiore probabilità di essere entrambi portatori eterozigoti per la stessa coppia di alleli. Negli animali e nelle piante si effettuano, a scopo sperimentale, incroci tra consanguinei mediante l’inincrocio e l’autofecondazione. La c. applicata in zootecnia per la purificazione e il perfezionamento delle razze ha un uso limitato perché determina un alto grado di sterilità.
Estratto dal Dizionario Treccani
Relazione di parentela fra consanguinei, essere consanguineo indica comunanza di stirpe. E’ una relazione di parentela esistente fra individui aventi uno o più ascendenti comuni, o anche fra individui in rapporto di discendenza diretta. Nel nostro contesto zootecnico (sia per ovini che cani ecc.) si applica alla selezione genetica degli animali, ed è indicato convenzionalmente con un indice numerico in %.
Alta consanguineità porta ad omozigosi, con tutto quel che vuol dire, sia in senso positivo (maggior omogeneità agli standard morfologici ad esempio) che negativo (depressione da consanguineità ecc.).
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